Io non ballo da sola
Niente bilanci, questo 31 dicembre (attualmente sono nella Route66 della mia vita, no end and no beginning). Voglio solo pensare a come festeggiare stasera. Quando si dice festa si dice gente, magari un drink, e musica.
Io non so ballare. In coppia, intendo.
Proprio non mi ci vedo a ballare con un uomo (inoltre il mio rifiuta qualsiasi approccio danzante). È una cosa antica. E barocca.
E comunque nessuno lo fa più.
Non balla più nessuno in quei balli che erano “il primo incontro con la felicità“, dove il cuore batteva all’impazzata e il ballo non era un ballo ma attesa, era un conoscersi, un corteggiarsi e infine uno sperare di rivedersi ancora.
Oggi tutti balliamo da soli, con la musica a palla e i bassi potenti, sembriamo robot in uno spazio di 10 centimetri quadrati. È lo specchio di tutto, questa cosa del ballare da soli. Siamo soli in autobus, siamo soli in treno, siamo soli anche a pranzo in famiglia, siamo soli al bar, siamo soli nella sala d’aspetto o in mezzo a una stanza piena di gente, tutti chini sul nuovo mondo: lo schermo del cellulare.
Siamo soli nell’affollata e confusionaria piazza di Facebook, dove in qualche modo ci trasformiamo in qualcuno che non siamo noi, nel bene o nel male, una versione più patinata o in quella peggiore di noi stessi.
Siamo soli e saremo sempre più soli, ormai arrediamo la casa con un click, chi me lo fa fare di andare a fare la coda all’Ikea, e già che ci sono faccio anche la spesa con il cellulare, che nel super ci entro anche, ma ormai non serve la commessa: niente code, niente casse grazie (o forse anche no) ad Amazon.
Ok, non pensiamo a questo e cerchiamo di capire come festeggiare stasera.
31 dicembre 1819.
C’è un ballo nel palazzo di Pietroburgo, al quale interviene l’intero corpo diplomatico e lo zar Alessandro I. C’è anche la famiglia Rostov, e c’è lei, la piccola Natascia, adolescente irruente e allegra: ha sedici anni ed è il suo primo ballo. È dalle otto del mattino che si prepara. Il dress code non permette creatività: calze di seta traforate, scarpette di raso bianco con fiocchetti, abiti di velo su sottogonne rosa, roselline sul corpetto, pettinatura à la grecque. Punto.
Il palazzo è illuminato, una miriade di luci e oro tutt’intorno, e specchi, dentro i quali si riflettono dame in abiti bianchi, azzurri, rosa. Indossano brillanti e perle sulle braccia nude, sul collo. C’è il caviale, gli storioni, la vodka, ci sono le candele e i vini francesi più pregiati.
Natascia è agitata. Il cuore le esplode nel petto. Gli occhi vagano. Riconosce Pierre Bezuchov e con lui c’è il principe Andrej Bolkonskij.
Improvvisamente la gente prende il suo posto dividendosi in due ali, nel salone da ballo. Si inizia a ballare, ma Natascia ancora non ha un cavaliere.
In questo “prodigio letterario“, come descrive il Corriere in un articolo a firma di Giorgio Montefoschi nell’edizione del 22 dicembre (qui il link), Natascia è impaziente di essere invitata a ballare, quand’ecco che le si avvicina Andrej: è stato Pierre a suggerirgli l’invito. Lei accetta. È spaventata e felice, “sembra una bambina che è stata spogliata per la prima volta, e che si sarebbe vergognata molto, se non le avessero assicurato che così doveva essere“.
Timidezza, gioia, impazienza, dolcezza. Le batte il cuore, da matti, così tanto da comprimere ogni spazio del grande salone, scrive Montefoschi in questo sublime scorcio.
31 dicembre 2018. Lo so, ho interrotto tutto in modo scioccante schiacciando il tasto “pause” e congelando così brutalmente la scena.
I battiti stanno decelerando, l’emozione si contiene, gli occhi non sono più lucidi. Non si sente più la musica, e non c’è caviale ma solo le tartine piene di maionese prese al banco gastronomia di qualche supermercato.
No, non ho nostalgia dei corsetti, dei fiocchetti e dei balli a palazzo e della loro etichetta. Ve l’ho detto all’inizio, non so ballare, e se proprio dovessi scegliere un’epoca in cui farlo preferirei quella del Charleston.
Comunque sia, siamo tornati. Controlliamo la lista degli auguri di buon Anno Nuovo su WhatsApp. Siamo di nuovo nelle nostre grandi sale vuote piene di gente, dobbiamo ancora capire cosa fare stasera, abbiamo l’ennesimo vestito nuovo comprato sulla scia dell’entusiasmo, è costato pochi euro, sa di plastica e probabilmente non lo metteremo mai più.
Ma nessuno questa sera mi inviterà a ballare.
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