Una pioggia torrenziale bagna la foresta del monte Rungwe, in Tanzania. Sotto il tendone blu i quattro ricercatori attendono, davanti alla webcam di Skype. La risposta attraversa un continente intero, mentre i dati inviati tramite smartphone scorrono dall’altra parte dello schermo e dell’emisfero, nella sala stampa del Museo scientifico-Muse di Trento. «Il campione corrisponde nel data base al 95% alla rana Arthroleptis xeno dactyloides». Un sorriso compare nei volti elettrizzati, accaldati da umidità e fatica nel cuore dell’Africa. «È una nuova specie. Ce l’abbiamo fatta».
Ieri, per la prima volta, è stata decodificata una sequenza di Dna fuori da un laboratorio, grazie a un kit portatile. Si chiama Dna Field Lab: è un kit che porta le analisi molecolari sul campo per poi inviarle «real time». Cambiando così il volto di quello che finora è stata l’esplorazione della biodiversità.
L’innovazione è di portata globale, ed è firmata Italia: il Dna Field Lab è un progetto del Museo Scientifico-Muse di Trento e dell’Università di Verona, con la collaborazione di Oxford Nanopore Technologies e Biodiversa Trento.
Le novità sono due: tempi ridotti e costi contenuti (di prezzi ancora non si parla, essendo un prototipo). Ma quella trasmissione di dati a doppia elica trasmessa via smartphone è il simbolo di un nuovo inizio. Quattro ricercatori italiani sono volati fino in Tanzania per provarlo: Michele Menegon, ricercatore del Muse, e Massimo Delledonne, professore ordinario di genetica dell’Università di Verona, Ana Rodriguez Prieto (Muse), e Chiara Cantaloni, Università di Verona.
«Dna Field Lab – dice Michele Menegon – porta nelle zone a maggiore biodiversità del pianeta la possibilità di misurare il valore biologico di un’area. Un passo fondamentale in un momento in cui i fondi necessari alla salvaguardia della diversità della vita del nostro pianeta non sono sufficienti».
La missione di questi Indiana Jones della genetica in Tanzania, una delle zone a più alta biodiversità? Reperire un piccolo animale selvatico e decodificarne il Dna. Un’operazione di diversi mesi che oggi ha impiegato mezza giornata.
Basta un piccolo prelievo sull’animale, l’estrazione e l’amplificazione del Dna avviene in termociclatore realizzato per funzionare a 12 V dotato di fluorimetro, mentre il sequenziamento del barcoding (la sequenza di Dna) nel Minion sequencer, sequenziatore di terza generazione grande poco più di una chiavetta usb, collegato al pc. Non serve corrente elettrica: basta una batteria e una rete dati cellulari 3G o 4G.
Non solo biodiversità. Il kit consente il sequenziamento «real-time» di qualsiasi materiale biologico, in qualsiasi parte del mondo: potrebbe estendersi all’analisi medica, ai controlli doganali, alle analisi sulla sicurezza alimentare. «Penso ai Medici senza Frontiere nelle zone colpite da Ebola. Ma ci vorrà ancora un anno, forse due», dice Delledonne. Il prossimo passo è la messa a punto del sistema, poi l’industrializzazione.
Anna Martellato © copyright, all rights reserved